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GAETA ...un po’ di Storia  

Se volessi scrivere la storia di Gaeta non basterebbe un sol foglio, raccontare oltre ben trenta secoli, senza cadere in qualche fallo, o equivoco, sarebbe da presuntuosi. Pieno di tutta la buona volontà scriverò una breve memoria, che, mentre potrà servire di base al completamento di una storia di Gaeta nel più esteso significato, possa ora esser sufficiente ad illuminare sulla sua origine, sulla sua grandezza, e sulla sua decadenza, chiunque venisse a visitarla, o volesse conoscerne i particolari. Gaeta, la Venezia del tirreno, la regina del Golfo, cui ha dato il suo nome, posta nel bel mezzo della costa occidentale d’Italia, ha l'origine che si perde nelle tenebre del passato. Molte sono le leggende sull’origine del nome della città, ma più di tutte ci piace ricordare come Virgilio, nell’Eneide, seguito dal nostro Dante (Inferno, XXVI, 90-94) attribuisce il nome da Cajeta, la nutrice di Enea, la quale ebbe sul nostro promontorio la tomba e vi lasciò con le ossa il nome imperituro. Gaeta, è pur vero non fu municipio né colonia romana, ma per la sua rada profonda e sicura, per le maestose colline che coronano il suo golfo, per la bellezza incomparabile del suo paesaggio, s’impose ai fastosi quiriti che ne fecero la Tempe e il Pireo di Roma. Successivamente, col declino dell’impero la città assunse un carattere che non ebbe nell’epoca romana, si circondò di mura e torri, e divenne una rocca munita, un “castrum”, ossia cittadella militare. La sua organizzazione civica si consolidò anche per la forzata richiesta di ospitalità del Vescovado di Formia, preda dei Saraceni.  Grazie anche al potere religioso il “castrum” acquistò sempre più indipendenza e autonomia, fino a costituirsi Ducato. Nei due secoli successivi i suoi reggitori lo avviarono a quella floridezza, potenza e gloria, tale da reggere il confronto coi Ducati di Napoli, Amalfi, Salerno e Pisa. La navigazione più di tutte portò vera gloria a Gaeta, il vessillo del santo patrono sventolò glorioso su tutto il mediterraneo, sino alle coste d’africa e ai mari d’oriente. Si coniarono monete proprie dette “follari”, si stipularono trattati con altre città marittime, si svilupparono le industrie, le arti e i commerci cittadini. Siamo così giunti al tempo in cui, Ruggiero Normanno, riunendo gli sparsi principati e ducati dell’Italia Meridionale, costituì quello che per antonomasia fu detto il Regno, del quale anche Gaeta entrò a far parte. Ma tutto questo non impedì a Gaeta di conservare la sua autonomia, e cominciò a trasformarsi in un fiorente e prosperoso comune. Continuò, anche in questo periodo, a governarsi coi suoi Consoli, coi suoi Giudici, a battere moneta ed a concludere patti e trattati con altre città. E come città demaniale cominciò ad esercitare la sua nuova funzione di Chiave del Regno. I re normanni la coronarono delle prime torri e di un castello, gli svevi ampliarono e rafforzarono il castello e costruirono muri di difesa sulle rocce scendenti a picco sul mare. Successivamente ad un lungo periodo nel quale subì la dominazione degli Angioini prima e degli Aragonesi poi, nel 1504 il meridione d’Italia, e Gaeta che ne era la porta, subirono un profondo mutamento militare e politico destinato a durare a lungo e a lasciare tracce forse ancora incancellate. La guerra tra Francesi e Spagnoli aprì a questi ultimi il Regno di Napoli: un dominio che sarebbe durato per più di duecento anni, quando, nel 1734 si concluse con un trasferimento di poteri, se così possiamo dire, nelle mani di un’emergente famiglia, I Borbone, il cui primo rappresentante, Carlo III, a partire dal 1734 e per il breve tempo in cui regnò come sovrano di Napoli, lo sciò un segno profondo e concreto di abilità. Poi, ritenendo più bramata la corona Spagnola, lasciò ai suoi familiari il privilegio di governare il regno, che nel bene e nel male dominarono le sorti di mezz’Italia fino al 1860, anno che segna il tramonto del Regno Borbonico e l’alba del regno d’Italia. In Gaeta, infatti, come estremo propugnacolo di difesa, venne a rinchiudersi l’ultimo dei Borbone, Francesco II, sotto l’impeto incalzante delle truppe italiane. La roccaforte resistette ben 93 giorni, dall’11 novembre al 13 febbraio 1861, quando capitolò. La mattina del giorno dopo sull’antenna del mausoleo di Planco si ammainava la bandiera borbonica. E sulla medesima antenna, nel più bel lembo del cielo, al cospetto del più azzurro mare, garrì al vento, per la prima volta, il tricolore italico, issato per cura dei Bersaglieri italiani. Era la fine del regno delle due Sicilie ed il principio del regno d’Italia. 

 

 

 

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